Comunicazione
Dallo smart working al south working: l’inizio di una nuova tendenza
9 Luglio 2020
Riconoscere il passaggio alla digitalizzazione che, negli ultimi mesi, ha cambiato la nostra routine è soltanto il primo passo per riflettere su come questo “esperimento sociale” possa continuare ad influire sulle nostre vite e sulle nostre scelte. Lo smart working, senza dubbio, non è una novità, ma è diventato realtà a causa dell’emergenza sanitaria, anche in quelle aziende che hanno sempre cercato di rimandarlo, preferendo il lavoro in presenza.
Così, forti dell’esperienza, oggi molti sono convinti che non sempre è necessario stare in ufficio per essere produttivi, né vivere in una grande città per essere soddisfatti della propria occupazione. Ci sono migliaia di persone che lavorano con aziende milanesi o della capitale, stando in Puglia, in Sicilia, in Calabria. Ma anche in Emilia-Romagna, in Veneto o nelle Marche. La prospettiva del rientro in ufficio a settembre è sempre meno attraente, dal momento che lo smart working sta funzionando contro ogni previsione.
Sembra emergere – secondo il giornalista Cristiano Carriero, autore di un reportage per il magazine SenzaFiltro – il dubbio che sviluppare la propria vita a partire dal luogo di lavoro non sia un dogma e che sia giunto il momento di demolire il pregiudizio per cui al Nord si lavora e al Sud si va in vacanza. Cresce, così, il numero di lavoratori, soprattutto giovani, che si domandano se sia possibile immaginare un futuro che non sia solo smart working, ma anche “south working”.
Lo smart working nel mondo
Come abbiamo già scritto a proposito dello smart working durante l’emergenza Coronavirus, l’Italia si è attivata con sensibile ritardo sul tema del “lavoro agile” rispetto ad altri Paesi. Non solo quelli scandinavi, ma anche Giappone, Brasile e Stati Uniti d’America sono decisamente più avanti.
Le ricerche sottolineano come, in sintesi, gli smart worker siano più produttivi, soddisfatti e fidelizzati all’azienda, rispetto a chi sta sempre in ufficio. È una scelta che rappresenta un vantaggio sia per l’imprenditore, sia per il dipendente, ma che spesso fatica a prendere piede. È vero che non tutte le professioni possano essere svolte in smart working e che avere il wi-fi non sia condizione sufficiente per poter lavorare ovunque in Italia. Ma almeno chi si occupa di comunicazione e digital dovrebbe adattarsi con più agilità alla sperimentazione.
Il lavoro in vacanza con un’app
Il primo interessante banco di prova per un’evoluzione e una stabilizzazione dello smart working, che – ricordiamolo – non significa non andare mai più in ufficio, ma adattare ed evolvere le modalità di lavoro in maniera tale che non sia necessario essere in ufficio tutti i giorni, sono le vacanze estive.
Saranno in molti, quest’anno, a dover “portare il lavoro in vacanza” o almeno nelle località dove, solitamente, ci si recava soltanto per il relax. Questa tendenza ha già attirato l’attenzione di alcune realtà e strutture che, consapevoli dell’opportunità, hanno elaborato pacchetti e servizi che possano agevolare la permanenza anche per chi non è lì per solo turismo.
La start up Up2you sta sviluppando un progetto per coniugare periodi lunghi di lavoro da remoto con lo slow tourism. Si chiama Work for you la piattaforma che permetterà ai potenziali clienti di prenotare soggiorni da uno a dodici mesi in località turistiche secondarie. E qui coniugare l’attività professionale con esperienze di scoperta e visita del territorio.
South working, l’idea di un gruppo di trentenni che vorrebbe restare al Sud
Cosa accadrà dopo? È veramente impossibile immaginare un nuovo modo di lavorare in cui la mobilità tra Nord e Sud sia agevolata e si possa collaborare con aziende innovative e all’avanguardia anche a distanza? Questa è la sfida lanciata da South Working – Lavorare al Sud, un hub di giovani quasi tutti parte dell’associazione Global Shapers, formatisi nelle più prestigiose università italiane ed europee, che vorrebbero stimolare le aziende a considerare l’opzione di non costringere tutti i dipendenti a lavorare sempre dall’ufficio. Soprattutto se l’ufficio si trova lontano da quella che viene considerata casa, in città dove le condizioni abitative sono critiche e dove, complessivamente, a risentirne è la qualità della vita.
“Se qualcosa di buono può essere tratto da questa tragica crisi – si legge sulla pagina Facebook del progetto – nasce la possibilità, per i territori del Sud, di accogliere stabilmente in smart working lavoratori di aziende basate altrove. L’obiettivo di lungo termine è quello di stimolare l’economia del Sud, aumentare la coesione territoriale tra le varie regioni d’Italia e creare un terreno fertile per le innovazioni e la crescita del Meridione”.
L’idea è di incentivare una forma di sviluppo sostenibile, fondato su una digitalizzazione degli strumenti, ma anche su un cambiamento culturale. Un passaggio che oggi può essere avviato a partire dall’esperienza Coronavirus. Che il south working – o anche l’everywhere working – non possa diventare la normalità?