Comunicazione
Lo smartworking ai tempi del Coronavirus
17 Marzo 2020
Lo smartworking sta permettendo a molti di conservare il proprio posto di lavoro e di non impazzire (troppo) durante la quarantena forzata. Una necessità causata dall’emergenza Coronavirus, garantita a tutti grazie al DPCM del 9 marzo 2020, ma già normata dalla legge sul lavoro agile del 2015.
Chi lavora in remoto?
L’Osservatorio sullo smartworking della School of Management del Politecnico di Milano aveva rilevato, già nel 2018, 570.000 lavoratori agili in Italia. Una cifra che aveva segnato un incoraggiante +20% rispetto all’anno precedente.
Nel nostro Paese ci siamo “svegliati” tardi sull’argomento, perché in Europa ci sono Stati che applicano il lavoro in remoto da anni (Danimarca, Svezia, Olanda in primis, dove la percentuale sfiora o supera il 30% dei lavoratori). In generale, la media dei lavoratori smart in Europa è pari al 17% della forza lavoro.
Nel 2022 si calcola che il 65% della forza lavoro europea, quasi 123 milioni di persone, sarà fatta di mobile workers. Sicuramente il nostro dato evolverà in positivo nel 2020; ad oggi si stima che 8,5 milioni di lavoratori italiani potrebbero regolarmente operare in smartworking.
Uno sguardo sul mondo
- In Giappone, isola dallo spazio perennemente contingentato, in cui si affittano capsule dormitorio negli alberghi e il feng shui mette al bando tutto ciò che è superfluo, lo smartworking viene incoraggiato per ridurre gli spazi negli uffici. Esso coinvolge circa il 30% della popolazione e consente di lavorare anche nel weekend: la settimana lavorativa, infatti, è strutturata su 6/7 giorni .
- In Brasile, dove le distanze sono vastissime, telelavoro significa risparmiare tempi di spostamento, ottimizzando gli orari.
- Negli USA, la percentuale di smart working è arrivata al 37%. Non solo: tra il 2007 e il 2014 la curva del lavoro svolto negli States è aumentata del 78% (numero di ore). Le cause? Proprio gli smartworkers.
In questo momento siamo quasi costretti a farlo, ma anche se non fossimo in questa situazione, perché dovremmo lavorare in smartworking? Quali sono i pro e i contro?
Lavoratori felici e distanti?
Sembrerebbe di sì. L’aumento della produttività si spiega anche grazie alla serenità e benessere degli smartworkers, molto più soddisfatti dell’organizzazione delle proprie attività. Il 31% degli smartworkers contro il 19% degli altri lavoratori, delle relazioni fra colleghi – 31% contro il 23% e persino della relazione con i capi, percentuale del 25% contro il 19%.
Inoltre, esiste un evidente vantaggio economico e tempistico. Una settimana di remote working può far risparmiare fino a 40 ore l’anno di tempo perso in spostamenti, situazione che si riflette anche sull’ambiente, determinando una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno.
I benefici dello smartworking per le aziende
I dati parlano favorevolmente ad ambo le parti, perché anche per le aziende ci sono dei vantaggi.
I benefici immediati riguardano la riduzione degli spazi, che possono essere più piccoli (o inesistenti), meno costosi; una gestione più oculata e rispettosa del tempo, che include anche una riduzione dell’assenteismo, e l’eliminazione di benefit quali buoni pasto o rimborsi per trasferte.
Inoltre, il lavoro agile innesca l’instaurarsi di una migliore cultura aziendale in senso collaborativo, in cui si coopera e ci si coadiuva maggiormente, spesso saltando inutili gerarchie ed eliminando del tutto le “antipatie” interne.
Se a lavorare in smartworking sono professionisti ed esperti, magari freelance, per l’azienda significa anche vedere KPI ed obiettivi raggiunti con minore dispendio di tempo e stress di gestione. I lavoratori tengono ad essere più puntuali, precisi e rispettosi del proprio lavoro, mostrandosi capaci di onorare impegni presi e di lavorare per obiettivi.
In generale, la sfiducia e la diffidenza di alcuni manager verso il lavoro agile è del tutto ingiustificata ed, anzi, controproducente.
Creare il giusto approccio al remote working
Ormai in ogni settore stiamo sperimentando lo smartworking e potremo sicuramente valutare gli effetti di questa modalità di accesso al lavoro una volta che le acque si saranno calmate. Questa modalità “smart” sta permettendo a molti di salvaguardare il posto di lavoro, evitando di bloccare completamente l’economia aziendale.
Come arrivare alla tanta sperata ottimizzazione attraverso lo smart working? In questo mondo 4.0 siamo avvantaggiati grazie agli imperanti strumenti digital.
Il paradigma del «digital workspace» – uno spazio di lavoro online in cui tutti possono accedere alle informazioni/strumenti, indipendentemente dal luogo, dal momento o dal device usato – sta prendendo piede sempre di più.
Per funzionare al meglio e affermare il valore del lavoro e del lavoratore in quanto tale, ci sono alcuni piccoli accorgimenti da prendere:
- Strumenti tecnologici adatti: dal pc reattivo alla connessione in fibra o comunque veloce e stabile, magari assicurata dall’azienda con un hotspot o un router aziendale;
- Tool di gestione dei progetti: che sia Asana, Slack, Wrike o altri, è fondamentale supportare il lavoro di tutti con un tool semplice e intuitivo in cui scambiarsi file, assegnare tasks, calcolare tempistiche e scadenze, in modo preciso e ordinato;
- Fiducia: aspetto fondamentale per qualsiasi relazione, soprattutto se a distanza. CEO, AD, lavoratori, Project Manager, responsabili e tutti quanti devono fare un gran patto con se stessi e con i dipendenti per instaurare un rapporto di fiducia, stima e trasparenza reciproca affinché il remote working funzioni. Smettere di pensare di poter controllare continuamente il dipendente – fattore inutile ai fini del risultato – e focalizzarsi sulla qualità del risultato stesso.
Premiando autonomia e indipendenza, nell’ottica di migliorare la produttività.