Comunicazione
Greenwashing: quando dichiararsi eco-friendly diventa un pericolo per le aziende
27 Agosto 2021
Un involucro realizzato con il 100% di materiale riciclato. Una compagnia aerea che dichiara di produrre meno emissioni di Co2 dei suoi competitor. Un’etichetta con una fogliolina verde che, su uno shampoo o una confezione di biscotti, promette di farci portare a casa un prodotto sostenibile, rispettoso dell’ambiente.
Quante volte ci siamo trovati di fronte a questo tipo di comunicazioni? E quante volte abbiamo optato per uno di questi prodotti o servizi, perché spinti dalla volontà di non inquinare e di fare una scelta eticamente corretta?
Spesso, però, dietro questi messaggi si nasconde una pratica di marketing nota come greenwashing.
Greenwashing: un ecologismo “di facciata”
Con greenwashing si intende la strategia di comunicazione di un brand che, dichiarandosi rispettoso dell’ambiente o in generale dei principi di sostenibilità, fa passare un proprio prodotto o servizio per “ecologico” sulla base di caratteristiche irrilevanti, marginali, parziali, spesso fuorvianti o illusorie.
L’obiettivo? Distogliere l’attenzione dei media e dei consumatori dagli effetti negativi sull’ambiente dovuti ad attività o a prodotti propri dell’azienda.
L’origine del nome e la direttiva europea
Il termine, che è un neologismo composto dalle parole green (ecologico) e whitewash (insabbiare, nascondere qualcosa), definisce un fenomeno ormai noto e tutt’altro che recente. Già negli anni ’90, infatti, alcune aziende americane petrolifere, come Chevron e DuPont, cercarono di connotarsi come eco-friendly, tramite claim green e false dichiarazioni, per nascondere all’opinione pubblica i danni ambientali che stavano causando. E anche la Commissione Europea, con la Direttiva 2005/29/CE, si è espressa sul tema. Definendo il greenwashing come:
“l’appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un’immagine verde” (…) “tutte le forme di pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori concernenti gli attributi ambientali dei prodotti o servizi.”
Quando il greenwashing è solo marketing ambientale
Complice la coolness che aleggia sui temi come la sostenibilità e le cause ambientali, il fenomeno del greenwashing si è diffuso negli ultimi anni e molte aziende, più o meno consapevolmente, hanno sfruttato questa pratica per lanciare un nuovo prodotto, migliorare la brand reputation, farsi portavoce di ideali e valori etici che, in alcuni casi, ripulissero un’immagine compromessa. Con conseguenze, però, che in molti casi hanno portato a ottenere l’effetto contrario. Sia in termini di credibilità dei consumatori nei confronti dell’azienda, sia in termini di risultati economici disattesi e campagne di comunicazione rivelatesi poi fallimentari.
Il caso positivo di Patagonia
Ma ci sono anche esempi virtuosi di marketing ambientale. Patagonia, per esempio, con la campagna stampa contro il consumismo di massa del Black Friday nel 2011 “Don’t Buy this Jacket”, invitava i consumatori a non comprare una giacca nuova solo per lo sconto, ma a riflettere se ne avessero davvero bisogno. La produzione di abiti in eccesso, che grava sulla sostenibilità ambientale, va infatti contro i principi del brand. Il risultato? Un successo di vendite!
Per questo è importante saper decodificare queste operazioni di marketing ambientale e riconoscere quali sono le iniziative aziendali che realmente aiutano a raggiungere uno sviluppo sostenibile o ad avere un impatto positivo e tangibile sull’ambiente e la vita delle persone.
La comunicazione sociale d’impresa: la vera chiave della trasparenza
È evidente, quindi, che non basta tingersi di verde per potersi definire green e ottenere un’immagine aziendale accomodante, schierata a favore delle giuste cause ambientali. Il tema, si sa, è complesso e richiede profonde riflessioni e azioni che non possono limitarsi a un packaging in carta riciclata o a una pubblicità piena di buoni propositi.
Ma come possiamo accertarci della veridicità di quello che le aziende comunicano in tema di eco-sostenibilità?
Il bilancio di sostenibilità e le certificazioni ambientali
Sicuramente viene in aiuto il bilancio di sostenibilità: un documento che ogni organizzazione, impresa, ente pubblico o associazione, redige per mostrare il proprio impatto sul territorio, l’ambiente e la società, in cui è possibile trovare risposte a domande come: qual è l’utilizzo delle materie prime e come viene gestito il riciclaggio dei rifuti? Quali sono le politiche di animal welfare e le iniziative a sostegno dello sviluppo sociale ed economico della comunità?
Bisogna verificare, inoltre, la presenza di certificazioni ambientali, come gli standard EMAS (standard europeo che prevede la pubblicazione di una “dichiarazione ambientale” che tenga conto di diversi parametri) e ISO 140001 (riferimento internazionale per linee guida e requisiti minimi per ottenere una certificazione ambientale), ma anche il GRS, ovvero il Global Recycled Standard, specifico per chi si occupa di materiali riciclati.
Informazioni, queste, che raccontano l’impegno di un’azienda molto di più di una bella etichetta verde.