Comunicazione
Etica e comunicazione d’impresa. L’umanità nei messaggi del futuro
29 Giugno 2021
I prodotti sono sostituibili. Le persone no. Per questo oggi nelle aziende chi fa la differenza sono le risorse umane. Non solo. Al caring dei dipendenti, che genera serenità e aumenta il fatturato, bisogna aggiungere la funzione sociale del produrre. Cose o servizi devono essere strumenti che migliorino la qualità della vita. E vita, dopo la drammatica esperienza del Coronavirus, significa “noi” perché nessuno – come ha detto Papa Francesco – si salva da solo.
Per la comunicazione d’impresa valgono le stesse regole. Un anno di emergenza sanitaria ha rivoluzionato il contenuto dei messaggi, obbligando gli imprenditori a rinnovare anche il modo di rivolgersi al pubblico. Alcuni hanno scoperto canali che non avevano mai utilizzato. Altri hanno sentito il bisogno di fare importanti donazioni. Tutti hanno imparato una cosa: la propaganda è morta, bisogna fare informazione. E per informare bisogna dire ai clienti la verità, senza nascondere la fatica di stare a galla nei momenti di crisi, pur guardando al futuro.
15 comunicatori a confronto
Consapevole dei cambiamenti che il settore ha subìto, L’Eco della Stampa, come sapete, ha chiamato a raccolta un gruppo di comunicatori d’impresa, organizzando con Rinascita Digitale, in streaming, un evento senza precedenti. Ve ne abbiamo parlato anche nell’articolo di Federica Ghiozzi, responsabile del nostro blog. Quindici professionisti, scelti per rappresentare aziende molto diverse fra loro, hanno illustrato le strategie che hanno adottato dalla diffusione della pandemia per evitare che la loro impresa cadesse nel dimenticatoio dell’immaginario collettivo e per trasformare il lockdown in un momento di massima creatività.
L’evento è stato intitolato ’20 ’21 ’22 Presente e futuro della comunicazione d’impresa. Se non lo avete seguito, vi consigliamo di recuperarlo. Ogni intervento dura soltanto 7 minuti, ma è un condensato di esperienza, idee intelligenti e progetti che possono essere molto utili agli addetti ai lavori. Moderato da Stefano Saladino, Project Leader di Rinascita Digitale, e concluso da Pietro Biglia, Marketing Manager dell’Eco della Stampa, il seminario ha posto l’accento sulle parole chiave che dovranno essere considerate, da qui in avanti, ogni volta che si dovrà comunicare un brand. Fra tutte, “umanità” è emersa da ogni relazione, da qui l’esigenza di fare un approfondimento sul caring e sulla funzione sociale che ogni azienda deve svolgere.
Comunicare, oggi, è fare. E allora, se non lo avete ancora fatto, mettetevi in gioco. Provate ad immaginare di entrare di corsa in un supermercato, magari a fine giornata, con la testa piena di pensieri e l’esigenza di non spendere troppo. È un’esperienza che capita a tutti, quasi quotidianamente. Se vi avvicina il rappresentante di un’organizzazione benefica e vi chiede un’offerta, per la fretta e per tutte le spese che avete già programmato sarete tentati dall’andare via: no, grazie, mi scusi ma non ho tempo.
Se invece l’approccio è sensazionale, unico ed emotivamente coinvolgente, sarete felici di fermarvi, lasciare un’offerta e chiedere informazioni. Perché, una volta a casa, sentirete il bisogno di parlarne, di coinvolgere gli amici, di sentirvi utili al punto di considerare inutili tutti quei prodotti che riempiono il vostro carrello.
L’idea che sensibilizza
È riuscito nell’impresa – e lo ha raccontato al nostro seminario – Orazio Ragusa Sturniolo, Head of Communication di Azione contro la fame. Che cosa ha fatto? Ha riempito tante bottiglie di acqua sporca, contaminata da batteri e virus, le ha esposte negli scaffali dei supermercati, accanto alle classiche bottiglie di acqua minerale, spiegando e dimostrando ai clienti che cosa significhi vivere nei villaggi africani dove perfino bere (acqua, non champagne) è un lusso. Azione contro la fame esiste da 40 anni in 53 Paesi del mondo, ma in Italia pochi la conoscevano fino a quel gesto eclatante. La bravura del suo comunicatore è consistita nel rendere contemporanea un’emergenza antica (la fame nel mondo) che spesso sentiamo distante, estranea alla nostra vita di uomini occidentali.
L’infermiere-reporter
Leggiamo spesso sulla stampa, tradizionale e digitale, di cattiva sanità. Quando i servizi funzionano, invece, è raro che ne venga data notizia, anche se questo tipo di informazione farebbe bene ai cittadini, prima ancora che ai dirigenti ospedalieri. Hanno commosso, dunque, gli innumerevoli attestati di stima che sono arrivati in occasione della pandemia a chi lavora nelle corsie. Tanti sono rimasti riservati, come quello dell’attrice Sharon Stone alla Fondazione Poliambulanza di Brescia, un ospedale privato no-profit che registra, ogni anno, 32 mila ricoveri per 600 posti letto.
Francesca Scollo, responsabile marketing e comunicazione, ci ha spiegato che la coesione fra personale amministrativo e sanitario è stata la chiave vincente della struttura. Ma non solo. Qui i giornalisti, assiepati giorno e notte a caccia di notizie sul Coronavirus, sono stati addirittura aiutati a svolgere il loro lavoro. Molti non avevano il permesso, da parte del loro editore, di entrare nei reparti Covid-19. E gli infermieri si sono prestati, nel rispetto delle norme sulla riservatezza, a filmare con le telecamere quanto succedeva. Quando l’informazione sul cartaceo è apparsa un po’ omologata, Francesca ha rilanciato i servizi sui social network, mettendo in luce le peculiarità di Poliambulanza, come l’aspetto umano della cura.
L’expertise scientifica
Per uscire dalla rissa delle opinioni, il collega Marco Ferrazzoli, capo ufficio stampa del Cnr, ha puntato sull’informazione di qualità. L’expertise scientifica si è rivelata l’unica strada giusta per diffondere notizie vere, verificate, utili. Ma il Coronavirus ha insegnato anche a Ferrazzoli che le grandi emergenze non possono essere affrontate con un approccio monodisciplinare. E, se hai la responsabilità di ciò che esce da un ente che impiega 8.500 dipendenti, hai anche il dovere di fare capire a tutti che la ricerca è un servizio. Come spiegherà un libro, scritto a quattro mani con Giovanni Maga, che troveremo presto fra le edizioni Zanichelli.
Fatti, non (solo) parole
Fino al 2020, le aziende comunicavano solo il loro prodotto. Al dilagare della pandemia anche Michele Laterza, Corporate Communications & PR Manager di Mutti, si è reso conto di quanto fosse importante cambiare strategia, cominciare a prendersi cura dei dipendenti e trasmettere messaggi sociali. Per farlo nel migliore dei modi, Laterza si è messo in ascolto. I lavoratori dell’azienda sono stati tutti intervistati da ricercatori e da lì si è rafforzato il rapporto di fiducia con l’intera filiera. Una grossa donazione all’ospedale di Parma e l’aumento degli stipendi agli operai della logistica sono stati fatti concreti che hanno anticipato la comunicazione. Tante cose oggi restano da dire di Mutti, per esempio che lavora nel totale rispetto della sostenibilità ambientale. Ma ci sarà tempo per dimostrarlo ai clienti. Oggi, come ci ha insegnato Laterza, l’azione deve precedere la comunicazione.
La regola della trasparenza
All’insegna della trasparenza è stato rinnovato anche il modo di comunicare di Italgas. Claudio Urciuolo, Head of Media Relations, ha seguito tutto il processo di digitalizzazione delle strutture aziendali, cominciato nel 2017. Ma ricorderà sempre, come ci ha raccontato, la prima assemblea degli azionisti in streaming, con tanto di sala stampa, una piccola rivoluzione dovuta al lockdown. La nuova normalità, secondo lui, non vedrà la fine delle riunioni online che si sono rivelate pratiche ed economiche, pur nella cura dei contenuti.
La casa polifunzionale
Mentre tutti ci abituavamo al silenzio delle città, spezzato soltanto dalle sirene delle ambulanze, i comunicatori lavoravano e sviluppavano idee geniali. Come “Restare a casa è una grande Ikea” che ci ha illustrato Chiara Gabriele, PR Leader del brand in Italia. Dieci settimane di chiusura totale sono tante, anche per un’azienda internazionale che conta, soltanto nel nostro Paese, 21 negozi conosciuti come scatole blu, ben visibili da lontano. E allora Gabriele ha studiato un piano di sostegno, anche psicologico, per i dipendenti ed ha rilanciato un’idea di casa polifunzionale dove si possa vivere e lavorare da qui al futuro, mai più uguale a quello che avevamo immaginato.
Il coraggio di dire tutto
“Da cosa nasce cosa” è, invece, lo slogan di successo del Consorzio nazionale imballaggi, 800 mila imprese iscritte, che fa dell’Italia un concreto esempio di economia circolare. Alessandro Bizzotto, responsabile relazioni con i media, è riuscito ad instaurare un rapporto personale e proficuo con i giornalisti, senza mai nascondere le criticità del suo settore, come la cronica carenza di impianti per il trattamento dei rifiuti al Sud. In occasione della Giornata mondiale del riciclo, Bizzotto ha potuto annunciare con orgoglio l’aumento di questa buona pratica (+1%), nonostante la pandemia. Un risultato dovuto soprattutto alla sua comunicazione coraggiosa.
La ricerca, bene collettivo
Da oltre trent’anni, Telethon finanzia la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare. Con la diffusione della pandemia, che ha monopolizzato i giornali, i progetti non potevano fermarsi. Guglielmo Lorenzo, responsabile comunicazione di missione e per la raccolta fondi, ha sviluppato una strategia multicanale, analizzando costantemente – attraverso L’Eco della Stampa – l’impatto di ogni scelta sugli utenti. Parlando al cuore delle persone, Lorenzo è riuscito a veicolare un messaggio fondamentale: la ricerca scientifica è un bene collettivo al quale non possiamo rinunciare.
L’appartenenza al brand
Sul sentimento di appartenenza ha fatto leva anche Simonetta Cantaregia, Capo Servizio Informazione Istituzionale dell’Università di Genova. Con 130 corsi di laurea, 32 mila studenti ed oltre 1600 docenti da gestire, l’ateneo in piena pandemia è riuscito a redigere un piano triennale di comunicazione che fa tesoro dell’esperienza Covid-19. Grazie ad un’analisi qualitativa e quantitativa, affidata all’Eco della Stampa, Cantaregia ha puntato su un cambiamento che consolidi alcune pratiche, come l’utilizzo del canale YouTube e dei social network.
I prodotti della socialità
Anche la finanza etica è, indubbiamente, un prodotto della socialità. Lo ha ben illustrato Marco Gallicani, Direzione Generale di Banca Etica. Se la pandemia ci ha insegnato a distinguere tra il superfluo e il necessario, ora la comunicazione non può più accontentarsi di storytelling. Bisogna spiegare, non solo raccontare. E Banca Etica lo fa, respingendo il vecchio modello di sviluppo per favorirne un altro, dove tutti abbiano accesso ai vaccini e dove la tutela dell’ambiente non sia soltanto uno slogan.
L’etimologia del termine “comunicazione”, ha fatto notare Micol D’Andrea, Marketing Manager presso RE/MAX Aliante, ci impone di fare, non di proclamare. E Pietro Biglia, Marketing Manager dell’Eco della Stampa, le ha fatto eco ricavando dalle relazioni la keyword “empatia”, sentimento necessario alla narrazione di un brand, se vogliamo ripartire da un nuovo scenario condiviso.
Le nostre conclusioni
Anche L’Eco, del resto, è un’azienda che ha vissuto la pandemia, prima di studiarla e raccontarla. E non è stato facile fare comprendere ad alcuni clienti l’importanza di cominciare a monitorare, oltre ai media tradizionali, i media digitali ed i social network. Lo ha spiegato il Direttore Commerciale Giuseppe Marsala, registrando una crescita del 50 per cento proprio nell’analisi cross-mediale.
Il futuro? È nell’ibridazione, secondo Federica Marini, la nostra Responsabile Media Analysis che, in occasione dell’evento, ha aperto la discussione, illustrando dati e grafici dettagliati. Lavoreremo in presenza, ma non rinunceremo più all’online. E la comunicazione dovrà essere incentrata sui valori, oltreché sul prodotto. Il 2022 è già qui.