Comunicazione
Fenomeno Clubhouse: la voce come strumento di relazione
30 Gennaio 2021
Siamo nell’era del podcast! I professionisti della comunicazione oggi si trovano su Clubhouse, il primo social network dei messaggi vocali. Abbiamo incontrato Rudy Bandiera, Marta Basso e Marco Montemagno.
La scrittura ha tempo davanti a sé. Il linguaggio orale, invece, è un boomerang, perché immediato ed irreversibile. Ciò che pronunciamo può avere forza maggiore, rispetto ad un testo che digitiamo, perché la voce produce significato, emoziona, oppure annoia, allontana. Quando scriviamo, abbiamo tutto il tempo che occorre “per poter girare sette volte la lingua in bocca”, per riflettere, censurare le nostre esitazioni, che non possiamo nascondere quando parliamo. Così Roland Barthes si esprimeva in una serie di interviste, tra il 1962 e il 1980, raccolte da Einaudi nel libro “La grana della voce”. La grana, sì, perché la voce ha corpo, è materia viva e concreta.
Di tempo ne è passato da quando il semiologo francese rifletteva sull’impatto della radio nella società. Oggi siamo nell’era del podcast, degli audiolibri, dei messaggi vocali inviati su Whatsapp (e su Telegram!). L’intrattenimento si ascolta in modalità multitasking, può fare da “tappeto”, quando siamo intenti in altre attività, come guidare, cucinare, correre.
Secondo l’ultima ricerca IPSOS, dal titolo Digital Audio Survey, i podcast hanno conquistato ufficialmente anche le nuove generazioni: gli under 35 rappresentano il 52% del pubblico, mentre il 19% è formato da studenti. I dati confermano come il format riesca ad intercettare persone con livello di istruzione alto (22%) e che svolgono professioni elevate (10%).
Clubhouse, il social network dei messaggi vocali
Insomma, audio, audio ovunque! E con un target di qualità. Di fronte alla crescita di interesse per contenuti vocali, nella Silicon Valley (dove, se no?) è stato inventato il social network della voce. Sì, gli iscritti non condividono fotografie o video, non cinguettano pensieri da 140 caratteri, ma comunicano con tracce sonore. Non temete, nulla viene registrato. E la piattaforma promette di eliminare, in partenza, tutti i problemi di privacy che opprimono, da sempre, i colossi della Rete.
Si chiama Clubhouse, è stato fondato lo scorso aprile da Paul Davison e Rohan Seth ed oggi vale un miliardo di dollari. Come funziona? Gli iscritti trovano davanti a sé stanze virtuali, dove seguire una conversazione e partecipare con un messaggio vocale, dopo avere cliccato sull’icona per alzare la mano, come avviene su Zoom, Teams e Meet. Sulla base delle preferenze espresse dall’utente in fase di registrazione, l’algoritmo della piattaforma seleziona le stanze che potrebbero interessarlo. I temi sono infiniti, dal cinema alla musica, dalla politica alla tecnologia. Negli USA Clubhouse è già di tendenza, perché si sono iscritte celebrità, come gli attori Kevin Hart e Chris Rock. E in Italia? Si può scaricare gratuitamente, ma per ora è disponibile soltanto su dispositivi Apple. La piattaforma è ancora in fase beta e l’accesso è consentito su invito da parte di un utente già iscritto.
Pro e contro di Clubhouse, secondo l’influencer Rudy Bandiera
“I punti di forza e di debolezza coincidono. Vi spiego perché. L’idea di Clubhouse può funzionare, dal momento che si tratta di una relativa novità. Di social esclusivamente vocali non se ne vedono molti. Esiste, ad esempio, Discord, ma è considerato un po’ da nerd, perché utilizzato in prevalenza per parlare di videogiochi. Inoltre, Clubhouse può avere presa per la sua esclusività: è una piattaforma dove si entra solo con un iPhone e con un invito. Al tempo stesso, questi due pro possono diventare due contro. Posizionandosi come un’app particolare e per un pubblico ristretto, alcuni adesso hanno voglia di entrare, ci sono anch’io, ma quelli che si iscrivono in questa prima fase sono gli early adopters, coloro che sperimentano, ma non ne decretano il successo. Tra uno, due, tre, quattro mesi, quando tutti i primi adottatori saranno arrivati, riusciranno a portare con loro anche la signora Maria, la vera variabile per l’affermazione di un social network?”.
Oggi, tra gli early adopters particolarmente attivi su Clubhouse, c’è anche Marta Basso, co-founder di Generation Warriors. L’imprenditrice veneta ha appena lanciato, assieme ad Ana Maria Fella e Federico Cecchin, l’iniziativa di formare una stanza di utenti italiani, dando vita a Clubhouse Italia. Ogni sera, dalle ore 19, il trio di professionisti della comunicazione è in onda per confrontarsi su tematiche d’attualità. Non manca don Alberto Ravagnani, giovane sacerdote dell’oratorio San Filippo Neri (Busto Arsizio), noto per il suo canale YouTube, seguito da 135 mila persone.
Abbiamo chiesto un parere anche a Marco Montemagno
“Una room ricorda una sorta di conference call, ma con interfaccia snella e semplice. È molto «addictive», perché la voce richiede tempo e tiene agganciato: ci si ferma volentieri per sentire come proseguono le conversazioni. Il risultato è una sensazione molto personale, determinata dall’ascoltare la voce di qualcuno. I rapporti tra utenti sembrano più «veri» rispetto agli altri social. Un connubio tra un podcast e il Quora delle origini: un servizio bello all’inizio, perché c’era la possibilità di fare domande e ricevere risposte da veri esperti top o grandi personaggi della Silicon Valley”.
“Clubhouse punta, soprattutto – prosegue Marco Montemagno – a risolvere il problema della confusione e saturazione dei social network, che è quello che stiamo cercando di fare anche noi con i video su Competenze. In tal modo, si coinvolge un’utenza più «alta», pensante, che si prende il tempo di ragionare, che cerca stimoli maggiori. Tuttavia, se da un lato il successo del servizio dipende anche dalla facilità di fruizione di contenuti audio, ciò solleverà un problema di moderazione di questo tipo di messaggi. Con il crescere della community, sarà necessario investire sullo sviluppo dell’app su Android e altri sistemi operativi e uscire dalla dinamica degli inviti”.
Come evolverà Clubhouse? Sembra stia già studiando un modo per consentire ai creator di monetizzare le conversazioni. Diventerebbe, così, non solo uno spazio dove ampliare il proprio network, ma anche un’opportunità di profitto per brand ed influencer, impegnati nell’engagement del pubblico senza la componente visuale. “Riusciranno i nostri eroi” a fare a meno delle immagini? Lo scopriremo.