Media Monitoring
Di crisi e altri imprevisti, nel 2024
28 Marzo 2024
Esattamente come le persone dicono, di fronte a forti grandinate, bombe d’acqua e alluvioni, che «il clima è impazzito», nel settore del marketing e della comunicazione si pronunciano spesso, oggi, frasi come «stiamo lontano da quella shitstorm», «potrebbe pioverci addosso una crisi», «come ci ripariamo da quel personaggio?». Come la crisi climatica anche l’andamento volubile e improvviso delle masse digitali si occupa di noi, anche se noi non ci occupiamo di loro.
Il contesto delle crisi: dall’amplificazione mediale all’errore umano, fino alla gestione sul campo
Poco più di un decennio fa affondava la Costa Concordia – episodio tragico riportato di attualità dal conosciuto podcast di Pablo Trincia, Il dito di Dio. Fu un primo archetipo di crisi digitale, un antesignano di quello che sarebbe successo per ogni crisi, anche se, per fortuna, a partire da eventi di gravità molto inferiore. Perché fu un archetipo? Perché diede a molti manager la definitiva idea che nulla poteva essere nascosto, che ci muovevamo ormai nell’era della trasparenza mediata dalle persone. C’era un evento. C’era l’amplificazione di massa dell’evento (TV, allora. Con l’aggiunta di influencer e celebrità, ora). C’era la ritrasmissione esponenziale dell’evento effettuata dalle persone attraverso le condivisioni, i commenti, i segnali di dilatazione esponenziali tipici degli algoritmi delle piattaforme.
Il paragone con l’attuale «scandalo Balocco-Ferragnez» è ovviamente ingiusto per la gravità e le conseguenze umane che ha comportato quel naufragio. Ma proprio per questo è una iperbole utile a dimostrare quanto sia potente oggi l’amplificazione mediale di un caso che, se non avesse coinvolto una celebrity (anzi due, includendo Lucarelli) non sarebbe stato minimamente oggetto di disamina da parte delle folle. Molte aziende ricevono ogni anno multe dall’antitrust per pubblicità non conforme o pratiche commerciali non corrette. Della Costa Concordia ci eravamo quasi dimenticati, invece. C’entra il fatto che il gossip sulle celebrità mescolato alla non-beneficienza è una miscela esplosiva, certo. Sulle crisi tuttavia si sbaglia a giudicarne la possibile gravità, in un senso o nell’altro. E nel prendere provvedimenti, e spesso negli investimenti – le assicurazioni – che aiutano a prevenirle.
Shits happen, dicono negli USA. Gli errori umani, in realtà complesse come le aziende, sono sempre esistiti, esistono ed esisteranno. Crisi possono generarsi dalla frase «uscita male» su quanto fosse non normale una pelle nere a un’operatrice del customer care di un brand beauty su Instagram, da l’ormai famoso accordo sibillino di collaborazione per un pandoro di beneficienza (lasciando ai tribunali l’ultima parola tra truffa ed errore) passando per un’etichetta errata sull’avocado che indica «Algeria» al posto di «Israele», con l’accusa al retailer in questione di essere «sionista», fino a una nave che affonda per una manovra azzardata e provoca «l’anno più difficile nella storia della nostra azienda», come disse l’allora amministratore delegato della Carnival, che possiede Costa Crociere.
Possiamo migliorare la formazione, la cultura interna, la consapevolezza delle persone, i processi. Queste però sono pratiche di lungo periodo e sono spesso al di fuori del possibile raggio d’azione di chi poi si deve occupare di gestire le crisi, cioè il marketing e la comunicazione.
È complesso dare una ricetta che vada bene per ogni situazione, chi lavora davvero sul campo lo sa bene. Googlando escono svariati articoli che indicano le dieci mosse per gestire una crisi – che vengono rimpolpati ex-post dopo ogni caso con abbondanti iniezioni di senno di poi – che mettono in evidenza soprattutto il buon senso (essere trasparenti, essere tempestivi, prendersi le responsabilità e non buttare la croce sullo stagista, eccetera). Addirittura aggiungendo «che da ogni crisi nasce un’opportunità», un’opportunità di cui avremmo fatto a meno.
C’è anche in giro una certa distorsione da serie TV, in cui arriva lo spin doctor e risolve tutto in sessanta minuti, ipnotizzando e guidando le folle come un novello pifferaio. Per quello che ho visto nella realtà non ci sono maghi e non ci sono miracoli. Molto spesso, dopo la crisi, puoi fare ben poco. Naturalmente gli spin doctor lavorano in una situazione di bisogno immediato, in cui il cliente è disperato e si affida a qualunque formula per poter uscire dal guaio in cui si è cacciato.
Scientia – o Conoscenza – come antidoto alle Crisi
In realtà, probabilmente l’unico vero antidoto è la conoscenza, sia dei propri asset e KPI, che dell’ecosistema in cui si è inseriti.
Mi spiego: ogni crisi ha effetti diversi su quello che conta veramente per un brand. Essenzialmente a) percezione (che influisce sulla propensione all’acquisto, segmentabile ulteriormente per breve-medio-lungo periodo) e b) target impattato. La conoscenza è fondamentale per valutare questi parametri.
La percezione – spesso non correlata con la bontà “razionale” del prodotto stesso – è estremamente importante, nell’epoca in cui il brand sembra essere, in un mare di sameness digitali, l’unica vera differenziazione possibile. Ma la percezione è volubile: ci sono disastri permanenti – rari – e disastri passeggeri. Un’altra analogia attuale con la crisi climatica è che i fenomeni meteorologici digitali tendono a essere di (relativa) breve durata. Perfino una catastrofe apocalittica non ha fermato il settore delle crociere nel 2023 dal raggiungere il numero più alto di viaggiatori di sempre.
Valutare l’impatto effettivo nel tempo è sempre il primo passo di una strategia, e su questo, strumenti in real time di monitoraggio ci possono dare il polso di quanto stia accadendo nel mercato e nell’opinione e prevedere andamenti di più lungo periodo.
Capire inoltre chi ne sta parlando (ancora) è fondamentale in quanto ai brand non interessa tutto il mercato ma solo il proprio segmento target. Un brand non vende sentiment, e i suoi costi non sono i commenti negativi. Un brand normalmente vende prodotti. Potremmo anche scoprire – non è una certezza, ma solo un’ipotesi, che si può indagare con gli strumenti adatti – che nel caso di Ferragni l’area del gruppo che vende prodotti sia molto meno impattata dalla crisi rispetto all’area che si occupa di sponsorizzazioni e influencer marketing. Perché l’area prodotti si rivolge più che altro alle superfan, che potrebbero non essere influenzate dalle tematiche della crisi. Al contrario probabilmente InBev avrebbe potuto valutare meglio l’utilizzo di un influencer transgender per la promozione della birra Budlight. Evitando magari la perdita di vendite per un miliardo e 380 milioni di dollari nel 2023.
Applicare 365 giorni all’anno il mantra della conoscenza (dei propri KPI, del settore, dei propri clienti, del sentimento, delle conversazioni, dell’ecosistema digitale) è la scelta ottimale. E anche l’unica su cui il marketing e la comunicazione possono agire in modo proattivo. Incrociando poi le dita perché «la grande crisi», quella su cui c’è ex-post poco da fare, non si configuri mai. E che tuttavia questa attività quotidiana, spesso inconsciamente, contribuisce a evitare. È un’assicurazione sul valore del proprio brand.
È fondamentale intersecare continuativamente i punti critici – che dovremmo conoscere – del proprio brand e del proprio settore con le criticità social più estese e potenzialmente esplosive, le zeitgeist critiche, potremmo dire – su cui spesso la trasformazione è più veloce di quanto, all’interno del team di marketing, valutiamo e riusciamo a intercettare – è forse il punto cruciale della strategia da adottare. Spegnere il fuoco è sempre difficile, e dovremmo imparare a conoscere e tenere pulito il bosco, prima che accada.