Comunicazione
Come gestire una crisi sui social network
23 Luglio 2019
Commenti. Centinaia di commenti sotto un post. Carichi di livore, sdegno, accuse. “E ora che si fa?”. Dover gestire una crisi sui social è l’incubo di ogni azienda, il terrore di ogni social media manager. Crisi che non necessariamente nasce sulla timeline di Facebook o fra i cinguettii di Twitter ma che sui social trova lo sbocco per lievitare, commento su commento, e trasformarsi in una “shit storm” in grado di spazzare via immagine e reputazione.
I social ci hanno abituato alle relazioni profonde fra brand e persone. E come in ogni relazione interpersonale che si rispetti, cause di forza maggiore – un grave incidente, per esempio – sviste, leggerezze o incomprensioni possono generare diverbio e sfociare in crisi.
Per chi si occupa di social media i confronti, anche se accesi, dovrebbero essere la normalità. E allora perché fanno venire le vertigini? Spesso per la poca padronanza del contesto – scritto, disintermediato – e per la sua specifica natura orizzontale: sui social si confrontano persone che mai si sarebbero incontrate nel mondo offline, ognuno con i propri schemi mentali e modelli comunicativi.
Per disinnescare le vertigini, e quindi la crisi, occorre mantenere la freddezza del capitano Chesley Sullenberger durante l’ammaraggio nel fiume Hudson, New York, del volo US Airways 1549 (magistralmente interpretato da Tom Hanks nel film Sully). Oppure bisogna resistere al richiamo del lato oscuro della forza, come farebbe Yoda in Star Wars: predisporre un piano di difesa, autogestire i sentimenti di pancia e riflettere bene prima di rispondere ad ogni commento ostile con la placida fermezza del maestro Jedi.
Come affrontare la crisi sui social
Restare calmi
Arriva un commento negativo o una recensione spiacevole. Un Social Media Manager non dovrebbe mai seguire l’istinto. Fronteggiare la crisi con lo stesso atteggiamento di chi ha sganciato la bomba è potenzialmente letale. Si rischia di cadere in un vorticoso botta e risposta di insulti reciproci alla luce del sole. Se siamo un’azienda – più o meno grande – significa dare in pasto al pubblico il lato peggiore di noi. Mostrarsi scorbutici non paga. Mai.
Fare ingegneria inversa dei commenti negativi
Ci sono i troll, i leoni da tastiera, i polemici di professione. Ci sono però anche persone che con un linguaggio impreciso e talvolta variopinto pongono questioni coerenti coi propri bisogni e le promesse del brand. Come suggerisce Bruno Mastroianni nel libro La disputa felice occorre scansionare i commenti negativi per isolare il vero oggetto della disputa, tralasciare prese di posizione e insulti e puntare dritto su quello.
Dotarsi di una Social Media Policy
Come abbiamo visto per la gestione dei profili social delle Pubbliche Amministrazioni, la Social Media Policy è uno strumento strategico che aiuta i Social Media Manager a gestire la crisi. Patti chiari, amicizia lunga: mettere nero su bianco che i comportamenti non conformi ad una condotta responsabile saranno oggetto di rimozione dei commenti e ban dell’utente. Uno strumento utile per fare pulizia di chi frequenta il profilo aziendale solo per seminare zizzania senza risultare censori.
Chiamare i rinforzi (interni)
Più l’azienda o l’organizzazione che subisce l’attacco è grande, più è necessaria una rete difensiva ramificata e reattiva, per fornire il maggior numero di informazioni utili per rispondere, soprattutto nei casi in cui la crisi è causata da un incidente o da una nostra negligenza. Lasciare il Social Media Manager in balia delle proteste o delle lecite richieste di approfondimenti senza un adeguato supporto informativo è condannarlo allo shit storm.
Fare presto
Nei momenti di crisi le persone attribuiscono al silenzio social la mancata capacità di governare una situazione complessa. Il silenzio prolungato strappa all’azienda il governo della crisi. L’azione difensiva deve dunque essere ottimale, tempestiva e argomentata.
Partire sempre da chi si è
Come le persone, i brand non dovrebbero cambiar pelle nei momenti di crisi. Suonerebbe posticcio, arrangiato, una pezza a colori. Prima di digitare anche un solo carattere della risposta ai commenti avvelenati occorre riflettere sui valori espressi dal brand, perché dovranno emergere con coerenza soprattutto in questa fase complicata.
Specifici e concreti, mai generici
L’incertezza è la valvola impazzita dei momenti di crisi. Le persone perdono la pazienza quando le risposte a dubbi o critiche precise sono vaghe e vacue. Permettere ai follower di avere la situazione sotto controllo disinnesca paure, ansie e livore. Mai rimandare ad un generico “al più presto”, mai accennare a “diversi problemi”, dunque. Occorre guidare le persone con notizie precise e ufficiali, prima che sia il tam tam dei social a diventare fonte. Non necessariamente veritiera.
Chiedere scusa, se serve
Ci sono casi in cui la colpa del brand è macroscopica: uscite fuori luogo che toccano una parte del pubblico, servizi forniti non proprio esemplari, assistenza poco efficace. Nell’economia della fiducia le aziende devono abbandonare quella permalosità che le ha fatte percepire sempre intoccabili e inappuntabili, ammettere le colpe – quando ci sono, perché Excusatio non petita, accusatio manifesta – e mettersi a disposizione delle persone per risolvere al più presto il disservizio creato.
Fornire una soluzione, se è possibile
Le persone insorgono contro enti e aziende per avere una risposta semplice: “e adesso?”. A prescindere dai social, ciò che l’azienda sotto attacco deve fare è studiare in tempi rapidi come ricomporre la frattura nella fiducia delle persone. Nel maggior parte dei casi le carte della dialettica e della diplomazia non sono sufficienti a fermare l’emorragia reputazionale, se non in prima battuta. Così come una coppia che litiga suggella la pace con un mazzo di fiori, così le aziende devono rilanciare il rapporto con soluzioni credibili per rinnovare la promessa che le lega al loro pubblico.