Eventi e Società
Quando il cocktail diventa un racconto: intervista ad Oscar Quagliarini
24 Luglio 2020
Se pensate che un cocktail sia un prodotto finito, dovete sorseggiare una specialità di Oscar Quagliarini. Scoprirete, allora, che il drink è un lungo percorso di studio, ricerca ed emozioni. Il momento dell’aperitivo, davanti ad una creazione del Maestro, può trasformarsi in un’esperienza sinestetica, che coinvolge tutti i sensi, diventando indimenticabile.
Oscar Quagliarini, soprannominato “il mago della mixology”, ha innovato un rito che per gli Italiani è irrinunciabile. Cosa c’entra tutto questo con la comunicazione? Il linguaggio di Oscar sembra nato per divulgare. Tra essenze ed alambicchi, il bartender dal 1997 ha tenuto lezioni, pubblicato libri, collaborato con illustratori del calibro di Sergio Gerasi, fumettista della storica casa editrice Bonelli. Basti pensare all’opera letteraria L’universo di Oscar Q, dove la cocktail list è un viaggio onirico tra passato, presente e futuro, raffigurato dai tarocchi.
Nato a Roma nel 1978, Quagliarini ha esordito in un locale di Cassano D’Adda, per poi trasferirsi a Milano, dove ha lavorato con Frog, gestore del Pravda Vodka e ha fondato il Mio Lab in Galleria Vittorio Emanuele. Considerato uno dei migliori baristi a livello europeo, Oscar è l’autore della drink list di Rinascente, collabora con Herbarium dell’hotel National des Arts et Metiers di Parigi e con il gruppo di Julien Cohen.
All’inizio fu il Martini, sinonimo dell’aperitivo italiano. Arrivò, poi, il vino a spazzare via tutti i cocktail. Come hai fatto rinascere quest’ultimo prodotto?
“Il rito dell’aperitivo, in effetti, ha subìto un’evoluzione, se non addirittura una rivoluzione. Oggi il 60% delle persone chiede lo Spritz, il 10% un cocktail à la page, il 30% un bicchiere di vino. C’è stato un momento in cui il drink aveva riconquistato il suo ruolo negli aperitivi, comunque molti anni fa, forse una dozzina, ma negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un’inversione di marcia. Lo Spritz la fa da padrone, stessa cosa per il vino con un basso grado alcolico, in modo da non rovinarsi il pasto. Sono pochi coloro che bevono Negroni, Martini e Gimlet alle sette di sera. Proporre un cocktail ricercato per me significa suggerire un percorso di conoscenza e di sensazioni”.
Quanto ha influito l’amore per il viaggio sullo sviluppo della tua creatività?
“E’ stato fondamentale. La vita è un viaggio. Ho attraversato quasi tutto il mondo, dall’Africa occidentale alla Russia, per vivere in Europa, tra Parigi, Milano e Senigallia, dove mi trovo adesso. Da quando avevo 19 anni, non ho mai smesso di andare alla ricerca di profumi… e miasmi! Perché anche gli odori più sgradevoli educano e orientano, sono fonte di ispirazione. Dall’India, dalla Thailandia e dal Madagascar sono tornato carico di spezie e sali particolari. I miei cocktail sono composti, tutt’ora, da pochi ingredienti e hanno un grado alcolico basso, in modo che il consumatore possa apprezzare tutte le sfumature di ciò che sta bevendo”.
Quanto conta il packaging nei drink che crei?
“Qualche volta ho utilizzato barattoli e bottigliette per confezionare i cocktail, al posto del classico bicchiere. Ad esempio, per il Bloody Mary, che è composto da succo di pomodoro. Quando si pensa alle passate, il loro packaging è proprio quello. Si crea un richiamo immediato che, sicuramente, ha un impatto più forte sul cliente e ne facilita il ricordo. Non mi piace, tuttavia, abusare del packaging. Può diventare una cornice troppo ingombrante e allontanare da ciò che conta davvero per me: il gusto”.
Qual è il bicchiere giusto per offrire un cocktail?
“Personalmente adoro un bicchiere lineare e pulito, di vetro fine. Senza decorazioni sopra”.
Hai studiato l’arte di Annick Goutal, un’istituzione in materia di haûte parfumerie. In che modo l’esperienza olfattiva è entrata a far parte del tuo lavoro?
“Mi ero trasferito da poco a Parigi. Stavo lavorando molto bene, più del solito e vedevo un buon riscontro sia da parte dei clienti, sia da parte della stampa. Così, cercavo qualcosa che facesse parlare la ville lumière, volevo inventare un prodotto che toccasse le corde interiori. Fino ad allora non ero mai riuscito ad emozionarmi né davanti ad una bevanda, né davanti ad un piatto. Questo mi succedeva, invece, quando per strada incontravo un profumo. Ho deciso, così, che il mio drink dovesse diventare principalmente un’esperienza olfattiva, in modo da riportare in un luogo lontano o in un ricordo e avrei potuto farlo con una vaporizzazione intorno al bicchiere del consumatore”.
Come nasce l’interesse per un nome così di nicchia?
“Per puro caso. Stavo lavorando alla creazione di Shalimar e Samsara di Guerlain e, mentre sperimentavo con vaporizzazioni, al bancone avevo Isabelle Doyenne, che all’epoca non conoscevo… naso di Annick Goutal! Mi invitò nel laboratorio in centro a Parigi, dove ho scoperto che Camille Goutal era la cugina di Julien Cohen, il mio capo parigino. E’ stato l’incontro che ha impresso una svolta definitiva alla mia vita”.
Si dice che oggi le nuove generazioni si incontrino soprattutto in Rete. Ma il ruolo del bar resta insostituibile?
“Assolutamente. E’ impensabile una vita senza bar! La gente triste si incontra in Rete, ma le emozioni non si provano online. Quanto è bello l’incrocio del primo sguardo, è ciò che ricordo di più in ogni conoscenza; sfiorare una mano, avvicinarsi alla guancia per parlare perché magari la musica è alta o c’è troppa gente e un rumore assordante. Tutto ciò può avvenire in un bar, in un club, non certo davanti allo schermo di un computer. Il confinamento, che abbiamo vissuto durante la quarantena, dovrebbe averci fatto rendere conto di quanto sia importante il contatto umano. Quello vero”.
Ultimo traguardo tagliato da Oscar, l’inaugurazione di Le Garagiste a Senigallia: si tratta di un laboratorio che richiama il fenomeno francese salito alla ribalta a metà degli anni Novanta, in cui si è iniziato a produrre vini in spazi molto piccoli, come potevano essere i garage, da qui il nome. Altro progetto, l’apertura di “Distillerie des enfants rare”, dove lavorerà anche il figlio Leon.
C’è da domandarsi dove voglia arrivare il mago del cocktail. All’età di 42 anni, di strada ne ha già fatta parecchia!