Digital Marketing
Social network e piano editoriale: l’ora dell’addio. Intervista a Valentina Vellucci
11 Luglio 2019
Le aziende sui social network devono schiarirsi la voce, scegliere quali corde toccare e raccontare storie che sappiano coinvolgere il proprio pubblico. Addio ai calendari editoriali su Excel farciti di contenuti buoni solo a giustificare il compenso del Social Media Manager. Niente più contenuti utili solo a racimolare i soliti like dell’amministratore delegato, della responsabile marketing e di suo figlio.
“I social vivono di quello che è nella quotidianità delle persone” sostiene con forza Valentina Vellucci, Digital Analyst, Social Media Strategist e partner associato dell’agenzia di comunicazione bolognese Magilla Guerrilla.
I mercati non sono più solo semplici conversazioni, come teorizzava nel 1999 il Cluetrain Manifesto. Con l’arrivo dei social, i mercati si sono trasformati in luoghi virtuali – ma non solo – dove le aziende vanno in scena, rompono la quarta parete del palcoscenico e dialogano con le persone.
I brand più bravi indossano i panni degli eroi del nostro tempo. Prendono posizione, polarizzano e fanno da cassa da risonanza alle piccole e grandi tensioni sociali del nostro tempo.
Dal piano editoriale al mood editoriale
Come devono presenziare i social le aziende? Sicuramente senza un piano editoriale vecchio stampo. “Adesso parlare di piano editoriale su excel da 3-4 post a settimana è un’assurdità – spiega Valentina – Parlerei più di mood editoriale o di filone narrativo, qualcosa supportato da progettualità e creatività”.
Addio quindi alla produzione di post in serie per “segnare il territorio”. Una buona strategia social oggi deve prevedere contenuti creativi di qualità. “La creatività oggi è un elemento imprescindibile per una strategia sui social network – prosegue Valentina – ancor prima del budget, seppure anch’esso fondamentale. Faccio un po’ fatica a immaginare qualcosa che possa avere successo senza un’idea dietro, anche se spinto da tanto budget pubblicitario”.
“Una creatività strategica – prosegue – in grado di uscire dai consueti schemi narrativi e memetici”. E se il mantra è accompagnare le persone nella loro quotidianità, “quello che serve è la capacità di essere sempre sul pezzo. Un presidio strategico dei social deve disporre di una creatività sempre adatta ai tempi che corrono. Senza studio e aggiornamento continuo è difficile pensare di poter fare seriamente strategia“.
Real Time Marketing e newsjacking
La presenza aziendale dei social network è regolata dal qui e ora. Guai però a forzare la ricerca della quotidianità. Si rischia di cadere nella prevedibilità, nel già visto o ancor peggio nel ridicolo. “Personalmente abolirei oroscopo, festività, ricorrenze, la giornata del, l’anniversario di – sentenzia Valentina – Sono delle forzature volute spesso da reparti creativi con i serbatoi in riserva”.
“Il Real Time Marketing è l’unico fenomeno che reputo interessante – asserisce – benché non tutti abbiano le forza per metterlo in pratica con profitto e creatività”. Cavalcare la quotidianità vuol dire “avvicinare le persone a particolari del mio brand o del mio prodotto con tecniche che superino il consueto O mio dio è Natale, scontorniamo l’ennesimo alberello, scriviamo tanti auguri e aggiungiamo una tazzina di caffè, un bicchierino di grappa o vino o quello che è“.
È attraverso il newsjacking che le aziende possono attingere alla realtà per “raccontare una notizia, polarizzare, prendere una posizione e fare in modo che quel taglio di notiziabilità sia riconosciuto dalle persone anche senza il logo del brand“.
I gruppi e le community: ma il futuro è davvero privato?
I brand oggi devono saper costruire una community attiva attorno a sé. Con il potenziamento dei gruppi, Facebook offre alle aziende una sponda concreta. “Facebook sta spingendo sui gruppi – ricorda Valentina – Fra 30 aprile e 1 maggio Mark Zuckerberg ha detto che Future is private, la più grande delle menzogne del digital marketing e dei vari ecosistemi comunicativi”.
“Spingere sui gruppi vuol dire creare delle stanze apparentemente sicure in cui le persone portano abitudini di consumo e micro abitudini quotidiane. I gruppi sono test sicuramente ben riusciti per spingere la narrazione personale dell’utente all’interno di case percepite come sicure, nella speranza di poter aumentare e migliorare quelli i livelli profilazione algoritmica attuale”.
Fra reale e virtuale. La multicanalità.
Le aziende non vivono solo di social network e relazioni a distanza. In una prospettiva multicanale, Facebook & co sono solo ulteriori punti di contatto da presidiare senza mai tradire l’essenza del brand.
“Il rapporto fra reale e virtuale è spesso ricco di conflitti, in cui c’è sempre la paura che l’uno cannibalizzi l’altro – ravvisa Valentina – Le aziende dovrebbero capire invece che l’uno è la forza dell’altro, in una logica di piena collaborazione e complementarietà fra le due dimensioni”.
Reale e virtuale non vanno intese come dimensioni parallele. “Bisognerebbe differenziare i target, in quanto reale e virtuale come presenza di brand hanno due esigenze completamente diverse, senza mai tradire quello che è il macro-cappello comunicativo. La vera sfida – si auspica – sarà saper cogliere l’opportunità di nuove dimensioni di confronto future. Adesso parliamo di reale e virtuale ma magari domani ci saranno altri terreni da esplorare. Ci sarà sempre bisogno di una progettualità in grado di differenziare i messaggi senza mai perdere identità del brand”.
Uno sguardo sul futuro. L’ombra delle fake news.
Con il fenomeno delle fake news siamo testimoni del lato oscuro della forza dei social. Se chi riesce a prendere posizione ha sufficienti cartucce per mistificare la realtà, la quotidianità rischia di trasformarsi nella peggiore puntata di Black Mirror. “Ci stiamo dotando di strumenti per confondere sempre più verità e finzione sui social e trarre in inganno le persone. Attraverso avanzate tecnologie di morphing voce e video abbiamo assistito a fenomeni come fake speech attribuiti Barack Obama o fake porn movie attribuiti a Hillary Clinton”.
La tecnologia di per sé non ha una tensione positiva e negativa. Non tifa per il bene o per il male. Così come Enrico Fermi non avrebbe mai immaginato a cosa avrebbero portato i suoi studi in fisica nucleare, anche i sostenitori della comunicazione digitale potrebbero essere a loro insaputa promotori di “un’immensa trappola per topi, di strumentazioni che permetteranno la strumentalizzazione di aziende, personaggi famosi, personaggi politici e di chiunque abbia una forte presa sull’opinione pubblica. Nel momento in cui non abbiamo strumenti per difenderci, diventa sempre più forte la necessità di regolamentare e di capire dove stiamo andando, senza mettere un freno alla scienza”.
Forse sarà proprio la battaglia contro le fake news la più grande tensione sociale del prossimo futuro che i brand – grandi e piccoli – dovranno trattare sui propri canali. Difendere il pubblico dalla manipolazione della realtà, come supereroi del nostro tempo, per difendere anche loro stessi.