Comunicazione
Cambridge Analytica: la crisi di reputazione sembra il problema minore
22 Marzo 2018
Ecco il logo di Cambridge Analytica: un cervello composto da punti uniti con delle linee, proprio come nei quaderni che diamo ai bambini per scoprire la forma degli oggetti.
Benvenuti nell’era del “capitalismo di sorveglianza”, dove le informazioni e i modelli psicologici altamente personalizzati vengono sfruttati per cambiare il comportamento degli utenti e influenzare le loro opinioni.
Come forse sapete già, da qualche giorno è esploso uno scandalo globale che vede Cambidge Analytica e Facebook sotto accusa. La loro colpa è quella di aver utilizzato un’enorme quantità di dati personali contenenti informazioni estremamente sensibili per condizionare le passate elezioni americane a favore di Trump.
Facebook ha hackerato le elezioni degli Stati Uniti nel 2016? No. Ne ha condizionato il risultato? Probabilmente sì. Lo ha fatto apposta? No, probabilmente no.
In questi giorni i media di tutto il mondo sostengono che i dati (di proprietà di Facebook) siano stati fondamentali per definire la strategia scorretta di Cambridge Analytica volta a influenzare gli elettori in favore di Donald Trump.
Ma se analizziamo la questione in modo dettagliato è facile capire che le elezioni americane passano in secondo piano vista la pericolosità dell’ipotesi di fondo.
In cosa consiste lo scandalo Cambridge Analytica-Facebook?
Le origini di questa storia sembrano abbastanza innocue. Nel 2014, Aleksandr Kogan di Global Science Research ha lanciato una app di quiz sulla personalità su Facebook chiamata this-is-your-digital-life per studiare il comportamento di quei “pochi” che hanno scelto di intraprendere il test. L’app è stata così scaricata da 270.000 utenti di Facebook, che hanno anche ricevuto un piccolo compenso per sostenere un test della personalità.
GSR è stata in grado di raccogliere non solo informazioni sulle persone che hanno scaricato la app. A seconda delle impostazioni di sicurezza di ogni utente utente, ha ottenuto anche i dati dei loro “amici” su Facebook. Stiamo parlando dei dati comportamentali e psicologici di circa 50 milioni di utenti americani.
Poi GSR ha condiviso i dati con Cambridge Analytica.
Facebook, proprietario dei dati in questione, è stato informato dei fatti nel 2015, ha rimosso la app di GSR e richiesto una prova a tutte le parti del fatto che i dati fossero stati distrutti.
Facebook potrebbe sembrare la vittima, visto che Cambridge Analytica ha potuto creare profili dettagliati basandosi sui dati comportamentali e psicologici di 50 milioni di utenti americani e potenziali elettori. Ma in realtà, in molti pensano il contrario.
Facebook dichiara che sta ancora cercando di capire se i dati siano stati cancellati o meno ed ora ha anche sospeso l’account di Cambridge Analytica. Invece Cambridge Analytica ha dichiarato di aver cancellato i dati (oltre a negare di averli utilizzati per promuovere l’elezione di Trump).
C’è solo un piccolo problema: in questi giorni un ex dipendente della Cambridge Analytica, Christopher Wylie, ha fatto il giro dei principali media globali raccontando il contrario.
Il The Guardian e il New York Times sono stati i primi a lanciare l’allarme.
La notizia è deflagrata bruscamente durante il fine settimana ed è diventata immediatamente virale.
Successivamente, Channel4 ha pubblicato un dettagliato reportage video dove alcuni clienti “esca” ha incontrano il top management della società Cambridge Analytica registrando tutto e raccogliendo dichiarazioni a dir poco compromettenti.
Cambridge Analytica è nei guai?
Il video documentario andato in onda su Channel 4 è una prova inconfutabile del fatto che il team di Cambridge Analytica sia abituato ad operare al di fuori delle regole.
Durante le riprese con la camera nascosta, il management della società dimostra che di fronte ad un potenziale cliente non c’è alcun limite o legge che li possa fermare per condurre la trattativa ad un buon fine.
Oltre a Alexander Nix, CEO di Cambridge Analytica, i protagonisti del video sono Mark Turnbull, Managing Director, e Alex Tayler, Responsabile dell’acquisizione dei dati.
I tre fanno riferimento a tangenti, falsi documenti di identità, società di facciata, ex spie e persino alla prostituzione di giovani ragazze ucraine come strumenti per convincere i potenziali clienti. Considerando che il campo da gioco è sempre quello delle tornate elettorali, il riferimento a ragazze da utilizzare per compromettere candidati all’opposizione è quasi un “must” tra le proposte della CA.
Tra gli argomenti di discussione ci sono soprattutto le elezioni negli Stati Uniti, in Kenya e in tante altre parti del mondo. La chiara evidenza che emerge è che queste persone conoscano meglio di tutti gli altri metodi e strumenti per condizionare l’opinione degli elettori.
In questi giorni, Cambridge Analytica sta provando a reagire a questa gigantesca crisi di immagine difendendosi da ogni accusa tramite il proprio account Twitter.
We strongly deny the claims recently made by the New York Times, the Guardian and Channel 4 News. Read our latest press release: https://t.co/G8cnv5G8oc
— Cambridge Analytica (@CamAnalytica) March 19, 2018
La tenacia di argomentare anche di fronte all’evidenza ed il numero di tweet pubblicati dimostra oggettivamente uno sforzo ammirevole.
Tuttavia leggendo i commenti ai tweet sul loro account, sembra che questa tecnica non stia funzionando benissimo.
Se invece guardiamo l’andamento degli hashtag #CambridgeAnalyticaUncovered e #CambridgeAnalyticaFiles, la situazione è ben più grave. Dopo la sospensione del CEO della società, che adesso è sotto indagine, non ci resta che aspettare ed osservare lo sviluppo di questa crisi.
Ma anche la reputazione di Cambridge Analytica passa decisamente in secondo piano se approfondiamo la strategia che gli ha permesso di condizionare le elezioni in giro per il mondo.
Benvenuti nel “capitalismo di sorveglianza”
L’idea di “capitalismo di sorveglianza” fu introdotta per la prima volta da John Bellamy Foster e Robert McChesney nella Monthly Review, e in seguito resa popolare dall’insegnante Shoshana Zuboff (stando a Wikipedia).
Per farla breve: il modello di business di Facebook non si basa sul contenuto, sul marketing o sulla pubblicità. Tu – il consumatore – sei il prodotto e il denaro che Facebook genera è basato su quanto possono monetizzare i tuoi dati mostrati ai partner di Facebook.
Questo non è una sorpresa.
Lo è invece l’approccio di Cambridge Analytica dal momento che il suo modello di business non riguarda la conoscenza degli individui e la ricerca di come posizionare meglio un marchio di fronte a un consumatore.
Il nuovo modello consiste nella capacità di sfruttare informazioni e modelli psicologici altamente personalizzati per modificare il comportamento del consumatore mostrando loro contenuti iper-personalizzati per influenzare le loro opinioni. Naturalmente, tutto questo viene fatto senza il consenso e la conoscenza del consumatore. Lo strumento preferito per veicolare le informazioni volte a cambiare il nostro stato d’animo sono le fake news.
La cosa che mi ha colpito di più del video andato in onda su Channel 4, è una singola frase pronunciata da Mark Turnbull, Managing Director di Cambridge Analytica, durante il video di Channel 4:
“L’unica leva realmente efficace per convincere gli elettori è quella della paura.”
Molto più che l’entusiasmo o le ideologie, è la paura a condizionare il voto delle persone alle elezioni.
Questo è ancora più preoccupante se pensiamo a quello che potrebbe fare Facebook stesso con tutti i dati a sua disposizione.
Come se la passa Facebook?
Per Facebook i problemi sono andati ben al di là del crollo delle azioni che in poche ore ha dissipato 5 miliardi di dollari della ricchezza personale di Zuckerberg.
In pochi giorni sono arrivate richieste di spiegazioni o indagini governative negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in India, in Europa ed anche in Italia.
Ci sono state le parole di preoccupazione del primo ministro britannico Theresa May e speculazioni secondo cui gli utenti potrebbero abbandonare definitivamente il social media blu a causa delle preoccupazioni relative alla violazione della privacy.
Ieri sera Mark Zuckerberg ha deciso di rilasciare la sua prima dichiarazione su questo caso, ovviamente con un post sul suo profilo Facebook.
Mark ammette che Facebook ha commesso errori e si impegna a proteggere meglio la privacy degli utenti. Nonostante il temine “Apologize” non venga mai utilizzato nel testo, la frase forse più efficace è la seguente.
We have a responsibility to protect your data, and if we can’t then we don’t deserve to serve you
In questo modo lascia il giudizio agli utenti e dice anche che se qualcuno non si sentisse protetto, può sempre scegliere di abbandonare Facebook.
Questo non è sufficiente per rispondere a tutte le domande emerse in questi giorni! La domanda principale che emerge dalla rete, è come mai Facebook abbia preso così poche contomisure contro il rischio di appropriazione di dati da parte di terzi.
Sandy Parakilas, ex dipendente di Facebook che lavorava nel team dedicato alla sorveglianza di sviluppatori di app di terze parti, ha dichiarato al The Guardian di aver avvertito i suoi manager del problema ed aver ricevuto la seguente risposta: “Vuoi davvero vedere cosa potresti scoprire?”.
Il fondatore di Facebook con questo ultimo post sta cercando di sfuggire alle proprie responsabilità ed alle tantissime richieste di spiegazioni ed indagini piovute dai governi di tutto il mondo? Probabilmente sì.
Cosa cambia per le persone e per i brand?
E’ sempre più difficile credere alla buona fede di giganti come Facebook, Google, Twitter o LinkedIn.
Se terze parti sono in grado di acquisire i dati sensibili di 50 milioni di account Facebook, probabilmente stiamo parlando solo della punta dell’iceberg.
Siamo tutti vulnerabili.
Ma vogliamo chiudere questo articolo con una nota positiva.
Fino a quando i Tech Giant non dimostreranno di potersi regolamentare da soli, i brand avranno un’incredibile opportunità per dimostrare di saper proteggere adeguatamente i dati dei propri clienti.