Media Monitoring
L’affannosa ricerca dell’omnicanalità possibile
13 Novembre 2024
L’omnicanalità è passata da modello ideale teorico a necessità imposta. Come fare per passare dalla teoria alla realtà?
L’omnicanalità si riferisce alla gestione sinergica dei vari touchpoint, che possono includere negozi fisici, siti web, social media e app mobili. L’obiettivo è fornire un’esperienza cliente unificata, in cui i consumatori possono interagire con il brand attraverso diversi canali senza percepire interruzioni nel loro percorso d’acquisto.
Il valore del Customer journey nella gestione dell’omnicanalità
Nonostante di omnicanalità si parli ormai da una decina di anni, l’obiettivo di associare in modo personalizzato a ogni cliente il giusto messaggio al giusto momento del customer journey nel giusto touchpoint, sembra ancora ben lontano dall’essere realizzato. Come nel detto americano, il marketing si è trovato a dover costruire l’aereo mentre era già in volo, e oltretutto in una tempesta perfetta. Nel frattempo si è formata una frammentazione ancora più estrema dei punti di contatto (nuovi social, app, tecnologie), che ha creato afflusso di dati spesso non integrati tra loro, assorbiti da touchpoint di competenza di diverse divisioni aziendali. La frammentazione si è inoltre scontrata con normative sulla privacy dei consumatori più restrittive, differenziate per paese (e spesso non così chiare) che vanno in diretta contrapposizione alla necessità di personalizzazione dei messaggi, ormai decisiva per ottenere attenzione, vendite e soddisfazione del cliente.
In tutto questo il cliente nel 2024 è sempre più impaziente e non accetta che un percorso di acquisto sia meno che eccellente: ha i suoi benchmark nelle grandi piattaforme social, ecommerce, video in cui la fruizione è praticamente in scroll, a bassa intensità, e quindi percepisce come un ostacolo fastidioso anche la sola compilazione di un form online. E da qui la necessità di inserire il ruolo della User Experience (e di partner e skill ulteriori) nella progettazione del processo di attrazione, acquisto e uso del prodotto.
Clienti sempre meno “fedeli”
Certo, anche nell’uso: Il cliente è sempre meno “automaticamente” fedele: la soddisfazione con cui utilizza interfacce digitali è critica non più solo per i pure player come ecommerce, banche e assicurazioni online, ma per ogni azienda che abbia un footprint del customer journey sia digitale che fisico. Oggi, in pratica, il 90% dei brand. Oggi ogni minima friction può causare danni gravi al percorso di acquisto: sia perché i consumatori valutano il servizio pre, durante e post vendita come parte stessa del prodotto acquistato, sia perché i prodotti sono sempre meno differenziati agli occhi del consumatore, se non, appunto, per la facilità nell’usare le interfacce. Nello streaming online conta certo il catalogo delle serie che un operatore offre, ma buona parte della fedeltà è data dalla soddisfazione nell’usare la app per la smart TV.
L’omnicanalità è un approccio strategico che integra tutti i punti di contatto e canali di interazione tra un’azienda e i suoi clienti, sia online che offline. Questo modello mira a ottimizzare l’esperienza del cliente lungo tutto il Customer Journey, garantendo che ogni interazione sia coerente e senza soluzione di continuità.
Le criticità
Questo approccio strategico – diciamo la verità – è spesso rimasto sulla carta per difficoltà tecnologiche, risorse limitate e oggettive difficoltà nel tracciare il customer journey. In un momento in cui questo, inoltre, è sempre più svolto su piattaforme esterne al brand. Che sempre meno sono propense a condividere dati tra loro e tra il brand. Per buona parte del processo iniziale di acquisto, l’utente scorre tra sollecitazioni che spesso sono fuori dal raggio di azione del marketing aziendale. Creator, user generated content, recensioni, trending topic sono spesso fattori esogeni o comunque non facilmente monitorabili. E i cui dati rimangono aggregati, non imputabili a un singolo cliente. Sempre di più la maggior parte delle visite a un sito arriva da fonti che nulla o quasi ci dicono di chi (e come) è arrivato al potenziale acquisto.
Mi sembra ormai chiaro che sia necessario, in questa fase, un approccio qualitativo e basato su correlazioni statistiche.
Il media monitoring e l’approccio qualitativo all’omnicanalità
Mi spiego meglio: dobbiamo monitorare quanto si parla di noi, e come, in territori non di proprietà, rinunciando al tracciamento puntuale dei singoli utenti.
Allo stesso modo dobbiamo correlare l’investimento in advertising sui diversi canali a un risultato di visite, carrelli, acquisti rinunciando al mito della visione a 360 gradi del cliente, almeno in questa fase. Se prima “solo” TV e radio erano poco monitorabili e gestiti in modo statistico aggregato, ormai anche gli altri investimenti digitali in brand a medio-lungo periodo (video ads, collab, audio su podcast e Spotify) non possono più essere misurati solo con impression, clic e visite.
Serve quindi una strategia che si occupi (a livello di C-suite) di orchestrare i canali: oggi le campagne funzionano davvero solo se c’è coordinamento tra le PR aziendali, che portano i contenuti sui media online “tradizionali”, e gli influencer, che creano contenuti filtrati dalla lente del loro pubblico di riferimento, ma che devono essere “omogeneizzati” in modo da risultare accattivanti ma non distorsivi dei valori del brand. All’advertising che in un mondo digitale scatena (quando è efficace) reazioni deve seguire necessariamente un processo strutturato per monitorare recensioni e rispondere ai commenti, perché sono ormai snodi fondamentali del percorso di acquisto. Ma sono anche indicatori, nella parte alta del funnel, di quanto stiamo lavorando in modo chiaro e olistico su posizionamento, di brand e prodotto.
Omnicanalità e Conversion
Diversa è la situazione nella fase di conversione: l’adozione di strumenti sempre più accessibili per riunificare i dati dei clienti in un unico contenitore, al servizio di marketing, vendite, product design e customer care, è un passaggio fondamentale della strategia. In un mondo di non-clienti sempre più incognito, è necessario conoscere a fondo i nostri clienti. Personalizzare le comunicazioni a chi è identificato nel jouney attraverso una piattaforma martech (di solito una Customer Data Platform) si può e si deve. Clusterizzare in modo dinamico i clienti a seconda di interazioni via app, email, sito è una chiave per non disperdere quei preziosi secondi che un utente trascorre sulle nostre proprietà digitali. E la progressione nei messaggi, cioè passare da contenuti informativi per chi è “nuovo”, a contenuti più persuasivi (e personalizzati) è necessario ed estremamente conveniente. In questo caso la nostra stella polare deve essere il Customer Lifetime Value.
Comunicazione omnicanale e KPI
Ogni divisione aziendale, oltre ai propri KPI specializzati (per esempio il tasso di apertura delle email), dovrà però avere come fine ultimo la massimizzazione del valore del cliente in termini di margine e di fatturato nel tempo. E di mantenimento della fiducia del cliente nel consentire di trattare il suo dato. Capire, per esempio, in quell’ottica di lungo termine cosa porta valore al cliente, evitando tattiche predatorie (per esempio invii a pioggia di push notification) che portano più visite e vendite nel breve ma fanno diminuire la soddisfazione del restante 99% di clienti e quindi il fatturato futuro.
La centralità della personalizzazione
È centrale, in questa fase del processo di acquisto, l’equilibrio tra personalizzazione dei messaggi (quanto sconto nel coupon?), pressione di invio (quante notifiche push?), composizione e grandezza dei cluster da creare per massimizzare acquisti e fedeltà nel tempo. Personalizzare il sito per renderlo più rispondente ai suoi interessi, soprattutto in caso di siti e app con migliaia di prodotti, può aiutare a minimizzare la fatica cognitiva e migliorare il tasso di conversione. E in questo utilizzare sistemi di Intelligenza Artificiale sarà un aiuto fondamentale. Riconoscere il cliente arrivato online in store può cambiare totalmente la percezione che avrà verso il brand. Così come gestire al meglio il customer care evita al cliente di ripetere le proprie informazioni già in possesso dell’azienda. O di essere addirittura oggetto di promozione mentre sta risolvendo un problema via chat.
In conclusione: Don’t Make Me Notice (the journey)
Molti anni fa, molto prima dell’era dei tre secondi di attenzione, Steve Krug scrisse un libro seminale e vendutissimo dal titolo Don’t make me think. Non fatemi pensare. L’idea di fondo era che ogni interfaccia dovesse essere così intuitiva da non richiedere all’utente di pensare. Nella prima edizione del libro si era ancora in un mondo di marketing digitale monocanale o poco più. Attualizzando quel proclama oggi potremmo dire “Don’t make me notice (the journey)”. Fare in modo di essere così fluidi nelle interazioni che l’utente non si accorga nemmeno di aver cambiato punto di contatto.