Eventi e Società
L’arte diventa digitale: la parola a Carlo Ferretti, manager del settore
3 Aprile 2020
In questo particolare momento, il mondo dell’arte sembra stia vivendo una sorta di riscoperta digitale, ricevendo maggiore attenzione da parte del pubblico. Complici progetti di largo respiro come Solidarietà Digitale e l’apertura – virtuale – di moltissimi grandi musei nel mondo. Mai come adesso sta diventando possibile visitarli e ampliare la propria conoscenza artistica.
Aldilà di quello di cui l’uomo comune può usufruire straordinariamente, è interessante vedere come se la cavano anche gli operatori culturali nel day by day di questa situazione.
Ecco perché abbiamo intervistato Carlo Ferretti, giovane project manager nel mondo dell’arte, che insieme alla sua organizzazione Arti in Libertà, hanno recentemente lanciato il proprio manifesto artistico.
Project manager, curatore e analista di dati. Come si incrociano queste dimensioni che sembrano così distanti l’una dall’altra?
“Unire il project management alla curatela vuol dire disegnare un progetto culturale, curando non soltanto il contenuto artistico, ma anche la modalità con cui viene fruito, la sua accessibilità, le finalità – culturali, economiche, sociali – e fare in modo che esse siano raggiunte.
Da quando il settore della cultura ha subito un crollo di investimenti pubblici, è stato necessario per essa ripensare il proprio ruolo all’interno della società e delle comunità. L’arte è spesso costretta a rivendicare finalità estrinseche alla produzione in se, dall’impatto sociale a quello economico, per essere finanziate. Bisogna però stare attenti a non mortificare per questo l’arte e gli artisti e la loro capacità di veicolare un messaggio al mondo.
E qui sta anche il bello del mio lavoro: individuare una propria linea di ricerca, eleggere un criterio di selezione, permettere agli artisti di veicolare un messaggio”.
Qual è il tuo background formativo?
“La mia figura è ibrida, possiedo un mix tra competenze culturali e artistiche e quelle di management, economia, conoscenza di strumenti per l’innovazione sociale. Dovendo guidare dei progetti culturali, mi occupo di dargli una struttura, anche logica, individuare obiettivi e modi in cui monitorarli, per poterne valutare l’impatto.
Nello specifico, ho studiato economia e management all’Università Cattolica e, dopo un anno sabbatico a Londra in una società di consulenza, ho capito che la mia strada sarebbe stata altrove. Nel 2015 sono volato a Barcellona per uno stage nella galleria d’arte di fotografia contemporanea Valid Photo.
Infine, ho ultimato la mia formazione a Rotterdam, ottenendo una laurea specialistica in Economia della cultura. Ma alla mia formazione hanno contribuito varie esperienze, tra cui lo studio della danza, della fotografia, e ovviamente, l’atmosfera culturale londinese”.
Raccontaci Arti In libertà: perché si parla di prototipazione di un contenuto di arte digitale?
“La parola prototipazione deriva dal mondo del design, laddove il prototipo è il prodotto che dev’essere ancora testato. Nel design si parte dal prototipo, lo si va a provare quando ancora non è completo. Adesso, con Arti in Libertà stiamo progettando una serie di contenuti artistici, cercando di adattarci all’evoluzione delle condizioni di fruizione che potremo garantire. Nello specifico, stiamo lavorando sul tema della prossimo lavoro installativo.
Proprio come fosse un prototipo di un progetto culturale.
Il macro indirizzo tematico nel quale si muove quest’anno Arti in Libertà è “reinventare il reale”, l’immaginazione del futuro. Vorremmo attraverso i nostri contenuti artistici stimolare l’immaginazione delle persone, provare ad indagare il futuro con sguardo critico, senza cadere nella tentazione della narrazione distopica, ma piuttosto dando gli strumenti ad ognuno di noi, tramite il lavoro artistico, per reinventare ciò che ci circonda.
Sul progetto di Arti in Libertà, i miei partner sono Roberto Debellis e Roberta Ugenti. Nella comunicazione lavorano Margherita Troilo, Ubaldo Leporale, Paola Caputo ed Enrico De Bellis. Nella parte performativa ci sono gli attori Leonardo Piccinni e Viviana Dorsi”.
Com’è cambiato il vostro lavoro in questo momento di stop generalizzato alle attività?
“In questo momento, fortunatamente, per noi non è cambiato molto, visto che non abbiamo residenze in corso. Nel recente passato, abbiamo avuto delle residenze artistiche – quattro, presso il Palazzo Sini di Bari, presso il Palazzo della Soprintendenza archeologica di Santa Scolastica, presso il Trabucco Garganico e al Museo civico – che avrebbero probabilmente ricevuto uno stop”.
Come credi ne uscirà il mondo artistico da questa situazione?
“Il mondo dell’arte è molto fragile. Le industrie culturali basano la propria economia di sostenibilità quasi esclusivamente sugli eventi che, in questo periodo e chissà fino a quando, sono completamente bloccati.
Credo sia estremamente indicativo che una delle più grandi aziende artistiche del mondo, mi riferisco a Le Cirque du Soleil abbia licenziato quasi il 95% dei suoi dipendenti, cancellando le ben 44 produzioni che ha all’attivo. Le numerosi iniziative che ci sono state ad oggi rispetto alla produzione di contenuti sui social media è da una parte estremamente rassicurante e dimostra la reattività del settore (il primo a fermarsi nel momento del bisogno). Dall’altra ci deve tutti spingere a riflettere sull’importanza di trovare forme economiche culturali e sociali più equilibrate per evitare che si raggiunga il crollo”.
Salutiamoci con qualche spunto di riflessione positivo. Segnalaci dei progetti new media che si occupano di arte e digitale interessanti!
“Con molto piacere! The art is open source di Salvatore Iaconesi. The wrong Biennale, prima Biennale interamente esposta su Internet. Lozan-Hammer, che tramite la facial recognition, ricerca 50 bambini messicani dispersi. Infine, Ouchhh, pura magia ed estetica”.