Comunicazione
La radio nell’era digitale: ce la spiega Davide D’Addato
11 Febbraio 2020
Milanese doc, classe 1980, Davide D’Addato ha scritto programmi radiofonici e televisivi di grande successo, come Masterchef e X Factor. Dopo aver studiato Linguaggi dei media all’Università Cattolica, Davide è diventato autore per Endemol Shine Italy e per la Rai; è anche una delle voci protagoniste del fine settimana di Radio Due, dove conduce un talk show coinvolgente e mai banale con Luca Restivo e Federico Vozzi.
Abbiamo posto alcune domande a Davide sul ruolo della radio oggi, sull’evoluzione di un medium ancora capace di creare un’atmosfera intima, sperimentando nuove modalità di relazione con il pubblico.
A distanza di oltre un secolo dalla sua nascita, la radio sembra essere più viva che mai. Cosa significa parlare ad un microfono nell’era 2.0?
“Diciamo che, in tutto questo tempo, la radio ha subito la minaccia di nuovi media, dalla televisione ad Internet. Ma ha sempre resistito. Secondo me, si sbaglia a proporla in antitesi, in competizione con gli altri mezzi di comunicazione, che hanno una natura diversa. La radio è la radio e non può essere scalzata. Tuttalpiù, oggi può essere affiancata dai podcast, che sono un modo recente di fare radio, libero e in linea con il mondo digitale; anche se, ovviamente, con una cassa di risonanza inferiore, soprattutto in Italia. Negli Stati Uniti d’America, invece, è tutto un altro discorso. Dunque, viva la radio che resiste, viva la radio in diretta, che è quella che piace a me. Parlare ad un microfono nell’era social significa essere ancora più «connessi». Un conto è scriversi in una chat, pubblicare post su Facebook, che cristallizzano un momento. Parlare ad un microfono, per me, significa cavalcare la vita: essere nel mondo, in quel preciso momento e viverlo assieme a chi ti sta ascoltando. Questo è il vero calore della radio. L’espressione «medium caldo» attribuita alla radio è verissima”.
Come si cattura l’attenzione dell’ascoltatore, iperconnesso e, spesso, distratto?
“Lo si cattura, senza dubbio, con contenuti di qualità. Bisogna scegliere se fare una radio di contenuti o una radio di flusso. Il programma che conduco su Rai Radio Due si chiama «Late Show» e appartiene alla prima categoria, che coinvolge davvero l’ascoltatore, non fa da «tappeto». Per contenuti intendo interviste, rubriche, trattamenti sugli ospiti. Io vorrei che le persone che si sintonizzano su Radio Due, ascoltando il Late Show dicano: «Ah, aspetta un attimo, ascolto cosa dicono, perché mi sembra più interessante del messaggio Whatsapp che sto mandando». Non è semplice, perché chi accende la radio può entrare nell’ascolto in qualsiasi momento del programma. La radio è molto meno rituale della televisione. La radio si ascolta in mobilità: in auto, sul tram, a casa mentre si cucina. Di conseguenza, bisogna cercare di mantenere sempre alto il livello di interesse in qualsiasi istante della trasmissione”.
Parlaci un po’ del Late Show. Che cos’è e a quale genere appartiene?
“Il Late Show è un late show. Abbiamo cercato di portare il genere del late show televisivo alla David Letterman, alla Jimmy Fallon, per intenderci, in radio, naturalmente con la nostra cifra stilistica. Siamo tre conduttori, perciò dobbiamo rimpallarci le cose da dire, non sovrapponendoci. C’è una buona chimica, lavoriamo insieme ormai da cinque anni e siamo veri amici. Il Late Show è un programma che funziona, che piace perché è ricco di contenuti, abbiamo sempre ospiti di altissimo profilo, da Bruno Vespa ad Albano, che accostati così fanno sorridere. Il tutto è trattato con ironia, che è la chiave di questo programma. Gli ospiti si sentono ben accolti, sono generosi e si divertono davvero”.
Qual è il ruolo della musica? Un intermezzo per prendere fiato o un modo per completare il discorso?
“La musica è il cuore pulsante di Radio Rai. Senza musica non esisterebbero i programmi. Le canzoni non mancano anche nel nostro talk. C’è un brano ogni tre minuti del Late Show. Di conseguenza, anche noi dobbiamo adattare il discorso, incasellarlo all’interno di quel blocco di tre minuti e poi lanciare il brano. Non possiamo sforare, il ritmo è fondamentale. La musica è importante, perché per le case discografiche essere su Radio Rai rappresenta ancora una vetrina. A noi conduttori, invece, la musica serve per voltare pagina, o per prendere fiato durante un’intervista che di solito è costruita su due o tre blocchi. La musica ci aiuta a cambiare il tono delle domande. In genere, nella prima parte facciamo un’introduzione dell’ospite; nella seconda gli si fa un trattamento, che significa inventarsi un giochino sull’ospite legato alla sua storia, ai suoi interessi, ad una sua caratteristica. Di solito, funziona!”.
Il filo diretto con gli ascoltatori è un altro elemento centrale. Il pubblico in che modo preferisce rispondere?
“È un elemento importante, tanto che all’inizio della puntata lanciamo una domanda al pubblico su un tema o su un evento della giornata. Facciamo satira di costume. Scherziamo sulle notizie, sulle storie, sui meccanismi umani, evitando la politica. Il pubblico ci telefona, ci inonda di messaggi Whatsapp e SMS. Ci fa molto piacere. La telefonata è il mezzo che preferiamo, perché permette di interagire direttamente. Le chiamate vengono filtrate dalla redazione, per questo funzionano! Abbiamo un pubblico che ama l’ironia, coglie le nostre battute e il tono del programma”.
Un tempo la radio era lo spazio dell’immaginazione. Non si aveva idea di chi ci fosse al di là del microfono. Oggi sappiamo tutto, o quasi, attraverso dirette streaming e fotografie su Instagram che immortalano “la radio”. Evoluzione o perdita di fascino del medium “cieco”?
“Una volta cercavi di immaginarti lo speaker radiofonico. Di solito quando ne vedevi la foto rimanevi deluso. Diciamo che almeno adesso evitiamo la delusione e sai già cosa aspettarti. I social hanno tolto il fascino di chi si nasconde dietro una voce, ma allo stesso tempo hanno avvicinato la radio al pubblico, rendendo gli speaker riconoscibili e noti. Non ha perso il fascino. È questione di gusti e sfumature. Dipende da quanto è curioso l’ascoltatore e da quanto abbia una visione romantica del conduttore”.
Ringraziamo Davide D’Addato per la disponibilità. Continueremo a seguirlo su Radio Due, insieme con i nostri lettori! Ecco il link, dove trovare i podcast del Late Show: https://www.raiplayradio.it/programmi/lateshow/
Buon ascolto!